Memorie storiche all’Ecomuseo della Paglia – Crosara di Marostica

Nel Seicento nel distretto di Marostica, comprensivo anche del Comune di Crosara (1850-1938, il cui toponimo è la traduzione medievale del quadrivium latino e in effetti è questo un incrocio di antiche vie ...), le industrie della lana e della seta ”stavano decrescendo”; l’artigianato era ben misera cosa e pare fosse limitato alla fabbricazione di arnesi agricoli e, forse, di otri di pelle di capra; perciò l’attività lavorativa da cui trarre i mezzi di sussistenza era l’agricoltura, praticata duramente in piccoli appezzamenti collinari in cui era quasi impossibile l’utilizzo degli animali per i lavori più gravosi. 

Nella seconda metà del secolo avvenne una svolta: iniziò la lavorazione della paglia per la fabbricazione di cappelli e borse. Sulla sua origine e provenienza mancano notizie precise: si suppone che l’input potesse essere arrivato dalla Toscana, oppure dal Cremonese...

Si chiese qualche storico, ad esempio Francesco Spagnolo, se fosse vera una tradizione diffusa tra gli abitanti del territorio, riportata anche dall’abate Dal Pozzo e, si può aggiungere, recepita pure dalla Inchiesta Jacini del 1882, che tale arte fosse stata introdotta da Nicolò del Sasso, detto Nicoletto dello Stabile di Lusiana, legnaiuolo di professione, fuggito in Levante per sottrarsi alla giustizia veneziana per essersi macchiato della colpa di aver rapito la sua innamorata, Bettina, e di averne ferito il padre. Ad Atene avrebbe incontrato un monaco che gli avrebbe insegnato ad intrecciare i fili di gramigna o di paglia. Tornato in patria avrebbe trasmesso le sue conoscenze sul lavoro della treccia che in pochi anni si diffuse in tutti i villaggi del circondario: Lusiana, Conco, Enego, Bassano, Marostica e in tutta la fascia collinare tra l’Astico e il Brenta.

Realmente, in pochi anni, questa attività artigianale mutò le abitudini e la vita delle nostre popolazioni: si prese a coltivare il frumento marzuolo in collina e vernisso nel piano, tutti e due preziosi, non per quantità di chicchi, ma per il gambo sottile, adatto per la lavorazione della treccia, base per la confezione di cappelli e borse. I terrazzamenti degli Spiadi furono intensamente coltivati a frumento per più di due secoli: lo si può constatare nelle rare fotografie del Novecento in cui le banchete appaiono di coloro chiaro, all’inizio dell’estate.

La fabbricazione dei cappelli, all’inizio molto rudimentale, si affinò nel Settecento e il loro commercio varcò i confini italiani imponendosi nei mercati internazionali. Nel 1742 Giuseppe Busa di Lusiana, dopo un breve viaggio in Toscana, introdusse tra i suoi compaesani nuove tecnologie nella lavorazione dei cappelli. Un ulteriore progresso fu la loro tintura di colore nero, realizzata da Giuseppe Meneghini da Vallonara.

Ottone Brentari, che amava le escursioni nel nostro territorio (percorso 3 – Comune di Marostica) osservava con simpatia il lavoro della treccia e scrisse che era bello vedere le donne sedute sulla porta, le ragazze che andavano e venivano dai campi e persino i bimbi che giocavano per le strade e intrecciavano quasi senza badarvi, come per istinto, quelle pagliuzze, facendo tesoro persino del tempo che impiegavano nell’andare da un luogo all’altro. Ma questa visione serena nascondeva una realtà ben più dura...

Venne calcolato che verso fine Ottocento, fossero occupate in questa attività più di dodicimila persone, soprattutto donne e bambini (circa i ¾).

All'inizio del ventesimo secolo, Crosara era un paese molto più popolato di ora (aveva densità i 229 abitanti per kmq.), attraversato dalla carrozzabile che lo congiungeva a Conco, a Lusiana e a Marostica, percorsa ogni giorno da una corriera postale tirata da due cavalli, che serviva per il servizio postale e passeggeri, e dai numerosi carri che trasportavano quanto era necessario alla vita di tutti i giorni.

… Crosara si estendeva per circa 362 ettari (il comune aveva le dimensioni di 1040 ettari), era ricca di sorgenti di acqua ritenuta buonissima dai contemporanei e di due torrenti Laverda e Longhella muovevano alcune macine di mulino per più mesi all'anno. Il terreno prativo, boschivo e poco arativo, essendo collinare era coltivato a vigneti ed estesi frutteti , che davano prodotti di una ricchezza e di una bontà notevoli .

Negli anni '60, l'industria della paglia sparì e i giovani rimasti in paese trovarono occupazione nelle industrie della ceramica, dell'abbigliamento e nelle officine sorte a Marostica e a Bassano.

(Testi tratti dal Libro “Crosara di Marostica – La storia in breve” di Marilena Xausa Battaglin in collaborazione con l'Associazione Culturale “Terra e Vita”)

Nel 2001 sorge a Crosara l’Ecomuseo della Paglia nella tradizione contadina, con lo scopo di raccogliere e raccontare, attraverso immagini, oggetti e documenti, le testimonianze di queste antiche memorie che hanno abbracciato circa tre secoli del territorio collinare, fino alla metà circa del secolo XX.

Un patrimonio culturale da preservare, coltivare e diffondere.