Nove, terra di antica tradizione ceramica
Sono principalmente due i fattori che hanno favorito la nascita e lo sviluppo dell'arte della ceramica a Nove: da un lato la presenza nel sottosuolo di argilla plastica, saldame e caolino, dall'altro la possibilità di sfruttare il fiume Brenta sia per trasportare i prodotti finiti e il legname per i forni, sia per l’energia idraulica con cui venivano azionati i mulini, che venivano utilizzati per miscelare gli impasti e macinare i ciottoli del fiume stesso. Fu nel XVII secolo che, anche grazie allo stimolo del Senato della Serenissima, si affinò la lavorazione delle maioliche e si riuscì successivamente a produrre la porcellana, creando le basi di uno sviluppo ceramico territoriale tuttora in corso. In queste terre la creatività artigiana costituisce l’identità delle persone, delle famiglie e della comunità.
Il nostro viaggio inizia visitando il Museo Civico della Ceramica “Giuseppe De Fabris”, ospitato nell’omonimo palazzo, e che raccoglie più di 5000 manufatti dal XVI secolo ai giorni nostri. Terrecotte, maioliche, porcellane e terraglie, con pezzi monumentali come la gigantesca Specchiera Viero della seconda metà dell’Ottocento. I pezzi esemplificano le produzioni di quasi tutte le manifatture novesi e bassanesi, oltre che di Vicenza, Venezia, Treviso, Este e di altri centri italiani ed europei. L’esposizione è organizzata in ordine cronologico e si articola su tre livelli: si parte dal ‘700 al secondo piano, all’ottocento e la sezione popolare al primo, fino al piano terra con le ceramiche del ‘900 e la collezione di cuchi donata da Nino Athos Cassanelli. Tra i pezzi del ‘900 del deposito permanente dell’Ente Fiera di Vicenza spicca il Grande Vaso di Pablo Picasso del 1950. La sezione dei cuchi è sicuramente quella che incuriosisce maggiormente i nostri visitatori più piccoli, ed è proprio con loro che abbiamo realizzato queste due canzoni che raccontano come sono fatti e la loro funzione. I cuchi, difatti, sono dei fischietti di terracotta zoomorfi o antropomorfi, sono il richiamo della primavera e sono simbolo di amicizia ed amore.
La visita alla scoperta delle bellezze ceramiche di Nove si completata con una passeggiata nel centro della città alla scoperta del “Museo Diffuso”, un viaggio tra le antiche manifatture, i palazzi, gli antichi mulini e dell’arredo urbano in ceramica.
Il paese sorge lungo il fiume Brenta, ed è attraversato dalla Roggia Isacchina, uno tra i più antichi canali artificiali citata già in alcuni documenti del ‘300. Lungo il suo corso, nella piazza antistante alla chiesa, troviamo il Parapetto didattico, formato da una serie di pannelli in ceramica che illustrano l’evoluzione stilistica delle ceramiche di Nove dal ‘700 ai primi del ‘900, sono inserite copie di piatti che esemplificano i decori più comuni nelle varie epoche.
All’interno del Liceo Artistico, sorto nel 1875 a Nove come Istituto d’Arte per la Ceramica, c’è un altro piccolo museo, con una ricca collezione di opere ceramiche del territorio dal 1600 ai giorni nostri. Molto importante la sezione dedicata al contemporaneo e al design.
All’incrocio delle due vie principali del paese troviamo due importantissime opere: il Lavoro di Pompeo Pianezzola (1952), che nei suoi vari riquadri ci offre un richiamo alla lavorazione semi-industriale della ceramica accanto a quella agricola, la cura familiare e la ricchezza della cornucopia, il torniante e il bracciante, la composizione si chiude in basso con un’ape sul favo, tradizionale simbolo di natura e di ricchezza. All’altro lato della strada vediamo il Grande pannello di Giuseppe Lucietti (1992), composto da piastre in refrattario e sali metallici in monocottura, che reinterpreta la vigorosa e invadente edera che si estendeva sulla facciata dell’edificio prima del restauro.
All’interno della Manifattura Antonibon, la più antica di Nove, fondata nel 1727, si possono visitare i laboratori, i portici per la legna, la stamperia e il palazzo padronale, oltre ad una suggestiva fornace circolare ottocentesca a quattro bocche per l’alimentazione a legna. All’esterno, grazie alla Mura Antonibon di Alessio Tasca (1991), formata da 74 tavelloni in gres trafilato, possiamo ripercorrere la storia di Nove e delle sue ceramiche, un viaggio allegorico tra i simboli dei mesi ed i luoghi del paese che corre lungo tutto il muro sud del complesso Antonibon ora Barettoni.
Sempre in centro, lungo l’antico argine del Brenta, si affaccia il settecentesco Palazzo Baccin, dimora padronale affiancata da case a schiera, uno dei primi esempi di villaggio operaio. Negli anni venti del ‘900 divenne la sede della Manifattura Zanolli Sebelin Zarpellon, che volle abbellire la facciata con un grande fregio in terraglia dipinta ed invetriata, realizzato da Doro Sebellin nel 1923. Il Palazzo è ora sede del BiblioMuseo.
Dall’altro lato della strada l’antica Manifattura Zen, caratterizzata da un bassorilievo allegorico sulla lavorazione della ceramica, una vecchia fornace e un cortile con quattro grandi statue realizzate all’inizio del Novecento dallo scultore e ceramista Antonio Zen.
Scendendo verso sud troviamo l’Antico mulino “Pestasassi” Baccin Cecchetto Stringa costruito nel 1791, è caratterizzato dalla presenza di due grandi ruote idrauliche e meccanismi di legno, ancora ben conservati e funzionanti; servivano per macinare i ciottoli e preparare impasti e vernici: è l’ultimo mulino settecentesco del suo genere esistente in Europa.
Proseguendo lungo la strada troviamo la Manifattura Dal Prà, fondata nel 1895 e tuttora attiva, all’interno dell’edificio storico si può osservare una grande fornace a legna su tre piani del primo Novecento, oltre che una ricca collezione dei pezzi prodotti nel corso dei secoli.
Dal 1997, il secondo weekend di settembre, si tiene la tradizionale Festa della Ceramica “Portoni Aperti”, in cui le vie del paese si animano di esposizioni di ceramiche provenienti da tutto il mondo, convegni, concerti e stand enogastronomici, tra i quali vorrei citare lo stand Ciotole Cuore di Nove, che dal 2012 abbina il riso del vicino presidio Slow Food a 999 ciotole tornite, numerate e decorate a mano. Il ricavato va in beneficienza, un progetto che deve la sua fortuna alla collaborazione di tante mani e tanti cuori.
Una lettura che vi consiglio è Rivarotta di Luigi Meneghello, che racconta l’instancabile lavoro di Alessio Tasca e Lee Babel per il recupero dell’omonima fabbrica di cristallina, e della “prodigiosa virtù dei cocci, questi frammenti di cose rotte che preservano con tanta forza la memoria scheggiata di ciò che è stato, quasi i semi di una realtà che non c’è più, ma che partendo da essi si può ricostruire.”